
La politica economica del governo chiarisce quali siano le parti della società che vuole rappresentare. La “flat tax”, ovvero un regime forfettario, sta dalla parte di due larghe categorie sociali: lavoratori autonomi e professionisti.
Per tutti costoro (con introiti annui fino a 85mila euro) il governo stende le proprie ali protettive con esenzioni e sconti. Il governo ripaga chi ha votato a favore: paga la sua prima cambiale agli elettori anche a costo di aumentare il debito (che tutti dovranno sopportare) e di trattare inegualmente i cittadini.
Ha scritto Giuseppe Pisauro che «viene così a realizzarsi una separazione netta tra il regime fiscale di lavoratori dipendenti e pensionati, da un lato, e lavoratori autonomi e professionisti, dall’altro. Per la sua ampiezza, si tratta, almeno tra i paesi avanzati, di un caso limite di trattamento preferenziale».
Perché la capacità contributiva di un professionista deve essere pari a meno di un terzo di quella di un lavoratore dipendente con lo stesso reddito? Perché il governo ha deciso che non tutti i cittadini debbano essere trattati egualmente perché non sono uguali nell’appartenenza cetuale. Ovvero, a parità di condizioni, chi è un professionista ha più meriti di chi è un lavoratore dipendente, e chi ha un esercizio commerciale più di chi insegna in una scuola o in una fabbrica.
La politica economica del governo ha uno spirito gerarchico, come la cultura politica dalla quale trae ispirazione, su cui, tra l’altro, i liberali non egualitari si possono trovare d’accordo. L’Italia è diventata una repubblica democratica fondata sui meriti cetuali. Che meriti non sono, ma semplicemente riconoscimenti da parte di una parte politica per assicurarsi il consenso elettorale, oggi e domani. Su questa diseguaglianza di trattamento, la destra scommette di restare a lungo al potere.
La meritocrazia neoliberale ha fatto scuola e trova un alleato nell’ideologia inegualitaria della destra. Il Reddito di cittadinanza non passa ovviamente l’esame: se è una carità (come la destra lo considera) allora deve essere a termine. «Fine della pacchia», per dirla con Giorgia Meloni. Severi con i deboli, deboli con i forti. E i deboli meritano quel che hanno e non hanno.
Lo stato è con i forti, perché a loro si deve l’orgoglio nazionale dell’impresa e della ricchezza. L’articolo 3 della nostra Costituzione non è fatto proprio da questo governo, non nel secondo comma, come è evidente, ma neppure nel primo.
Le politiche fiscali e sociali sono la carta di identità di un governo. Quelle appena approvate trattano iniquamente gli eguali cittadini, privilegiando chi già sta meglio: uno strappo alla Costituzione.
Nadia Urbinati
24 novembre